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sabato 10 aprile 2010
14:47 |
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E' difficile capire chi ci dice la verità.
In relazione alla discussione avvenuta in consiglio sulla "privatizzazione dell'acqua" sembra che tutti litighino dicendo la stessa cosa.
Paluan lancia per primo l'allarme "Cittadini di Carpi correte ai secchi"
Tosi, nei commenti, lo smentisce.
Paluan smentisce Tosi.
Il PD sul suo sito afferma di aver votato in consiglio "contro il decreto Ronchi"
L'IdV sul suo sito dice "no alla privatizzazione"
E' fin troppo evidente che qualcuno non la dice tutta.
Nel frattempo Il Manifesto riporta questa notizia:
I grassetti sono miei e uno in particolare pone un dubbio pesante:
Cosa farsene della mera proprietà delle reti se l’acqua che scorre è gestita da consigli di amministrazione non eletti dai cittadini e non sottoposti ai principi della democrazia rappresentativa?
Vorrei aggiungere questa domanda a quella che ho posto all'Assessore Tosi e che non ha ancora avuto risposta:
Perchè mai un'impresa dovrebbe voler gestire un businnes senza possibilità di utile?
In relazione alla discussione avvenuta in consiglio sulla "privatizzazione dell'acqua" sembra che tutti litighino dicendo la stessa cosa.
Paluan lancia per primo l'allarme "Cittadini di Carpi correte ai secchi"
Tosi, nei commenti, lo smentisce.
Paluan smentisce Tosi.
Il PD sul suo sito afferma di aver votato in consiglio "contro il decreto Ronchi"
L'IdV sul suo sito dice "no alla privatizzazione"
E' fin troppo evidente che qualcuno non la dice tutta.
Nel frattempo Il Manifesto riporta questa notizia:
Aprilia, l’acqua torna pubblica
Settemila famiglie che da anni non pagano le bollette al gestore privato, un «tesoretto» nelle casse del comune. Come i cittadini di un comune del basso Lazio riescono a invertire la rotta delle liberalizzazioni.
Nelle sede del comitato acqua pubblica di Aprilia oggi ci sono almeno una trentina di persone in attesa. Una fila paziente, silenziosa, con le cartelline in mano, davanti al lungo tavolo bianco dove i militanti del comitato preparano le contestazioni della gestione di Acqualatina. Una scena che si ripete da quattro anni, da quando settemila famiglie decisero di non pagare l’acqua al gestore privato, ma di versare i soldi sul conto corrente del Comune. «Verificammo che il conto corrente della gestione comunale dell’acqua era ancora attivo – ricordano oggi – facendo un versamento di un euro». Poi fu una valanga: contestazione della bolletta inviata dai privati e, contestualmente, pagamento dell’acqua al Comune, con le tariffe che erano state decise dal consiglio comunale.
Oggi, però, è una giornata differente e in molti sorridono. Mostrano le decine di assegni firmati Acqualatina, simboli dei tanti ricorsi già vinti dal comitato, dalle settemila famiglie, avendo come controparte un colosso come Gerit Equitalia, il riscossore che sta cercando di recuperare i soldi per conto di Acqualatina.
Ma c’è di più. Il presidente del consiglio comunale ha convocato le principali tre commissioni, con all’ordine del giorno «la riconsegna dell’impianto idrico comunale da parte di Acqualatina S.p.a.». L’amministrazione comunale – fatta di liste civiche elette un anno fa dopo un lungo governo del centrodestra – ha dunque deciso: la prossima settimana chiederà indietro le chiavi dell’acquedotto al gestore partecipato dalla multinazionale francese Veolia. E loro, i settemila firmatari delle contestazioni, che per anni hanno denunciato le conseguenze della gestione privata dell’acqua, continuando a pagare a quel comune fatto di rappresentanti eletti e non nominati dai consigli di amministrazione francesi, hanno raggiunto un traguardo neanche immaginabile fino a poco tempo fa. Hanno dimostrato che la mobilitazione dei cittadini – al di fuori dei partiti, basata solo sul senso civico e su quel sentimento profondo che respinge le ingiustizie – può cambiare le cose, può rimandare a casa una multinazionale potente come la Veolia.
Tecnicamente la decisione che verrà discussa dal consiglio comunale di Aprilia la prossima settimana è l’attuazione di una sentenza del Consiglio di Stato depositata lo scorso anno. Parole scritte dai giudici amministrativi che riconoscono alcuni principi fondamentali sulla gestione dei beni comuni. Primo, i cittadini non sono semplici sudditi e hanno tutto il diritto – in gergo giuridico si chiama legittimazione – di chiamare in causa una multinazionale quando questa non rispetta i diritti fondamentali. Secondo, l’acqua non è un bene qualsiasi, gode di una tutela superiore. E, terzo, i comuni hanno il pieno titolo di decidere come gestire le risorse idriche, senza dover subire interventi dall’alto. Dunque, conclude il Consiglio di Stato, il comune di Aprilia può decidere a chi affidare la propria acqua senza doversi inchinare alle decisioni prese dalla Provincia di Latina – che di fatto ha voluto imporre la scelta di un gestore privato – guidata dal centrodestra.
La sentenza ha segnato positivamente la storia della gestione dei beni comuni in Italia, ma mancava il primo e fondamentale passo. Da mesi il comitato acqua pubblica chiedeva alla giunta e al consiglio quella decisione che attendeva pazientemente da anni e che ora sta per arrivare. E Aprilia apre la strada a tantissimi comuni, stretti tra acquedotti che non possono più governare e una popolazione sempre più inferocita, che in ogni caso continua a rivolgersi ai primi cittadini, ai loro eletti. È questo il vero paradosso della privatizzazione, che non potrà che peggiorare con il decreto Ronchi. Cosa farsene della mera proprietà delle reti se l’acqua che scorre è gestita da consigli di amministrazione non eletti dai cittadini e non sottoposti ai principi della democrazia rappresentativa?
Acqualatina non ha commentato la decisione del Comune di Aprilia. Fino ad oggi l’azienda ha risposto duramente alle contestazioni: prima mandando pattuglie con vigilantes per ridurre l’acqua a chi contestava, poi affidando ad Equitalia la riscossione delle bollette. In entrambi i casi a nulla è servita la mano pesante, mentre il comitato acqua pubblica si è rafforzato, arrivando a determinare – nelle ultime comunali – la sconfitta del Pdl. E la decisione di riprendersi gli impianti idrici rappresenta un precedente estremamente pesante per la società controllata per il 49% da Veolia. Dunque, la partita non sarà semplice.
Il Comune di Aprilia si prepara a riprendere la gestione degli acquedotti e delle fognature con un vantaggio venuto proprio dagli utenti. Oggi nei bilanci comunali ci sono più di un milione di euro versati dalle settemila famiglie in questi anni. Soldi che se fossero finiti ad Acqualatina oggi sarebbero assorbiti da un bilancio dove pesano i debiti con la banca Depfa, lo stesso istituto sotto inchiesta a Milano per i derivati venduti all’amministrazione comunale. Quei soldi potranno da domani essere immediatamente usati dalla giunta di Aprilia per riavviare la gestione del servizio idrico integrato. Un vero tesoretto messo da parte con determinazione da chi non ha mai accettato le multinazionali e la gestione privata del bene più prezioso. Ad Aprilia da domani la parola democrazia tornerà ad avere senso.
I grassetti sono miei e uno in particolare pone un dubbio pesante:
Cosa farsene della mera proprietà delle reti se l’acqua che scorre è gestita da consigli di amministrazione non eletti dai cittadini e non sottoposti ai principi della democrazia rappresentativa?
Vorrei aggiungere questa domanda a quella che ho posto all'Assessore Tosi e che non ha ancora avuto risposta:
Perchè mai un'impresa dovrebbe voler gestire un businnes senza possibilità di utile?
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1 commenti:
Beh Marco, non è una questione di "verità", è molto più banalmente una questione di scelte, le opzioni sono tre (ma in realtà si riducono a due):
Opzione 1
C'è chi afferma che l'acqua è un diritto, dicendo che questo diritto comprende anche la facoltà di vederla sgorgare dai rubinetti di casa. E' la posizione di chi reclama la non rilevanza economica del servizio idrico che quindi deve essere sottratto alle logiche di mercato (il chè non significa non pagarla, ma pagarla il giusto, compresa la quota necessaria per la funzionalità e il rinnovamento della rete, senza garantire a nessuno profitti su situazioni di monopolio). Su questa posizione sta il movimento che ha dato vita ad una legge di inziaitiva popolare e ora ai referendum abrogativi del decreto ronchi, ma ci stanno anche tutti gli alleati del PD a livello nazionale (IDV, SEL, Comunisti) e qualche centinaio di amministrazioni locali a guida PD ma anche di centrodestra
Opzione 2
L'acqua è un diritto ma il servizio che ve la porta al rubinetto può essere messo a gara a condizioni di mercato. E' la posizione del PD di Carpi e della parte, diciamo così, più legata a certe multiutilities del PD nazionale.
Separare il bene dal servizio, in questo caso è un puro stratagemma lessicale, perchè quel bene, nelle nostre case, non esiste senza il servizio!
Opzione 3
l'acqua è una merce e se la volete a casa la pagate a condizioni di mercato e gli unici autorizzati a gestirla possono essere operatori di diritto privato scelti tramite gara. Non c'è spazio per aziende di diritto pubblico, perchè si tratta di "servizi a rilevanza economica".
E questa è la posizione del governo "delle libertà"
Opzione 2 e 3 seguono sostanzialmente la stessa logica, con un'aggravante nell'opzione 3 che impone da Roma a tutti gli enti locali un modello aziendale, a prescindere da questioni di efficienza o economicità, ma solo sulla base del pregiudizio che i servizi pubblici se li devono spartire aziende private, le quali, per loro natura, su quei servizi cercheranno il loro profitto.
Dire che l'acqua è pubblica separandola dal servizio che te la porta a casa non significa nulla, il PD di Carpi ha scelto il nulla e però si pubblicizza come paladino della difesa di un diritto, che nei suoi atti diventa inesistente.
Il giudizio politico ovviamente è opinabile, ma sfido chiunque a dire che la questione di merito ("il garullo" del garrulo assessore Tosi) non sia questa.
E le parole contano poco, se poi le decisioni di merito prendono altre strade: il PD di Carpi ha fatto una scelta CONTRO i suoi alleati e contro chi vuole che l'acqua non sia scambiata per una merce.
Fine della fiera
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