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mercoledì 21 aprile 2010
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Stefano Facchini, direttore della Caritas, chiede più attenzione per il terzo settore
«A Carpi c’è bisogno di un maggior coinvolgimento del terzo settore nelle politiche sociali».
Nessuno meglio di Stefano Facchini, direttore di Caritas diocesana, incarna lo spirito del volontariato carpigiano. E nessuno meglio di lui può fornire spunti e considerazioni per un’attenta analisi delle scelte passate e presenti messe in atto dalle amministrazioni carpigiane nel campo del sociale negli ultimi anni.
Il vuoto lasciato da una triste dichiarazione qui non c’entra: oggetto delle valutazioni di Facchini non sono le persone ma le decisioni politiche e le ricadute sulla società.
Come valuti il lavoro svolto dagli assessori che si sono avvicendati nel corso delle legislature?
Nella maggior parte dei casi si è trattato di ‘semplici amministratori’, politici che venivano impiegati in quel ruolo.
Non sono tecnici, non conoscono da dentro il mondo del volontariato.
Devono muoversi in spazi molto ristretti dalla rigidità della macchina amministrativa: bisogna anche dire che hanno avuto la fortuna di avere una struttura solida alle spalle.
Ma l’esperienza personale conta tantissimo.
Sei d’accordo con chi ritiene che l’amministrazione sia eccessivamente autoreferenziale nelle proprie scelte?
Sì, credo che ci sia uno scarsissimo coinvolgimento delle associazioni di volontariato e delle cooperative sociali nelle decisioni prese dal Comune.
Un esempio lampante sono i piani di zona: durante gli incontri che si fanno si decide poco e niente, e poi vengono a presentarcelo quando è già tutto deciso.
Non c’è lo spazio per incidere e cambiare qualcosa.
E all’interno del volontariato esiste poca collaborazione?
Forse in alcuni settori. Ma nel complesso si riesce a fare rete molto bene.
La collaborazione è difficile quando dall’altra parte c’è poco interesse e volontà nell’ascoltare.
Ripeto, il terzo settore collabora a livello operativo con il Comune, ma a livello politico non viene considerato a sufficienza.
La crisi ha prodotto un nuovo livello di povertà, ma ha anche evidenziato sprechi enormi: credi che via siano margini d’azione per razionalizzare al meglio in questo ambito?
Nel campo del sociale lo spreco è limitato a qualche grande cooperativa.
Se poi si parla di buone pratiche che chiunque può e deve adottare lo spettro si allarga: tutti dobbiamo capire che una riduzione di consumi, di inquinamento, di spese, di bonus, di privilegi, può portare ad un mondo, se non migliore, almeno più giusto e più sano.
Sarebbe inoltre interessante conoscere qual è il livello di ‘indebitamento pubblico pro-capite’: Comuni, Province, Regioni e Stato dovrebbero riuscire a fornire i dati, si tratta di suddividere il debito totale di ogni ente per il numero di persone residenti.
Il Comune, l’interlocutore più vicino ai cittadini, continua a spendere facendo cassa con la vendita di azioni: ma una volta finiti quei soldi, le azioni non produrranno più utili da accantonare.
L’emergenza sociale richiama anche il problema sicurezza: come definiresti la situazione carpigiana?
Non credo sia allarmante. Non esistono ancora zone ghetto come a Sassuolo. Certo, la politica dell’edilizia popolare deve essere intelligente e deve cercare di non crearle, dislocando gli appartamenti in diversi quartieri e non in una sola area. A Carpi sud il problema è più sentito? È vero, ma credo anche che vi siano risposte da parte di un tessuto sociale che è buono.
Daniele Franda
(fonte: ModenaQui)
«A Carpi c’è bisogno di un maggior coinvolgimento del terzo settore nelle politiche sociali».
Nessuno meglio di Stefano Facchini, direttore di Caritas diocesana, incarna lo spirito del volontariato carpigiano. E nessuno meglio di lui può fornire spunti e considerazioni per un’attenta analisi delle scelte passate e presenti messe in atto dalle amministrazioni carpigiane nel campo del sociale negli ultimi anni.
Il vuoto lasciato da una triste dichiarazione qui non c’entra: oggetto delle valutazioni di Facchini non sono le persone ma le decisioni politiche e le ricadute sulla società.
Come valuti il lavoro svolto dagli assessori che si sono avvicendati nel corso delle legislature?
Nella maggior parte dei casi si è trattato di ‘semplici amministratori’, politici che venivano impiegati in quel ruolo.
Non sono tecnici, non conoscono da dentro il mondo del volontariato.
Devono muoversi in spazi molto ristretti dalla rigidità della macchina amministrativa: bisogna anche dire che hanno avuto la fortuna di avere una struttura solida alle spalle.
Ma l’esperienza personale conta tantissimo.
Sei d’accordo con chi ritiene che l’amministrazione sia eccessivamente autoreferenziale nelle proprie scelte?
Sì, credo che ci sia uno scarsissimo coinvolgimento delle associazioni di volontariato e delle cooperative sociali nelle decisioni prese dal Comune.
Un esempio lampante sono i piani di zona: durante gli incontri che si fanno si decide poco e niente, e poi vengono a presentarcelo quando è già tutto deciso.
Non c’è lo spazio per incidere e cambiare qualcosa.
E all’interno del volontariato esiste poca collaborazione?
Forse in alcuni settori. Ma nel complesso si riesce a fare rete molto bene.
La collaborazione è difficile quando dall’altra parte c’è poco interesse e volontà nell’ascoltare.
Ripeto, il terzo settore collabora a livello operativo con il Comune, ma a livello politico non viene considerato a sufficienza.
La crisi ha prodotto un nuovo livello di povertà, ma ha anche evidenziato sprechi enormi: credi che via siano margini d’azione per razionalizzare al meglio in questo ambito?
Nel campo del sociale lo spreco è limitato a qualche grande cooperativa.
Se poi si parla di buone pratiche che chiunque può e deve adottare lo spettro si allarga: tutti dobbiamo capire che una riduzione di consumi, di inquinamento, di spese, di bonus, di privilegi, può portare ad un mondo, se non migliore, almeno più giusto e più sano.
Sarebbe inoltre interessante conoscere qual è il livello di ‘indebitamento pubblico pro-capite’: Comuni, Province, Regioni e Stato dovrebbero riuscire a fornire i dati, si tratta di suddividere il debito totale di ogni ente per il numero di persone residenti.
Il Comune, l’interlocutore più vicino ai cittadini, continua a spendere facendo cassa con la vendita di azioni: ma una volta finiti quei soldi, le azioni non produrranno più utili da accantonare.
L’emergenza sociale richiama anche il problema sicurezza: come definiresti la situazione carpigiana?
Non credo sia allarmante. Non esistono ancora zone ghetto come a Sassuolo. Certo, la politica dell’edilizia popolare deve essere intelligente e deve cercare di non crearle, dislocando gli appartamenti in diversi quartieri e non in una sola area. A Carpi sud il problema è più sentito? È vero, ma credo anche che vi siano risposte da parte di un tessuto sociale che è buono.
Daniele Franda
(fonte: ModenaQui)
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