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giovedì 11 febbraio 2010
22:54 |
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Ricevo e pubblico:
Una sola vittima, il popolo italiano, una sola causa, il comunismo di Tito.
Tutto serve a far brodo per l'ossessione anticomunista dei consiglieri PDL, basta negare la realtà
L'iniziativa organizzata dalla presidenza del consiglio comunale per il "Giorno del Ricordo" di TUTTE le vittime delle foibe ha avuto momenti di eccellenza nella relazione del professor Bertucelli, nel senso comune e condiviso di un ordine del giorno che voleva portare un segno di rispetto al dramma umano dei profughi istriani ospitati all'ex campo di concentramento del campo di Fossoli.
Purtroppo il dibattito che ne è seguito è stata occasione per i consiglieri PDL per strumentalizzare la vicenda umana dei profughi istriani per fare polemica di bassa lega.
Nell'intervento del consigliere Benatti, annullata qualsiasi contestualizzazione storica, qualsiasi riferimento alle cose relazionate con equilibrio da Bertucelli, sul clima creatosi nei territori istriani e dalmati dopo 20 anni di dittatura italiana, di persecuzione delle minoranze linguistiche slave e croate, degli eccidi e delle deportazioni compiute prima e durante la guerra, dei 350.000 uomini donne e bambini, civili, uccisi dalle forze armate italiane, prima da sole poi inquadrate nei reparti tedeschi.
Un'elegia dell'anticomunismo dimenticando che se oggi Benatti può dire le sue banalità antistoriche e strumentali in consiglio comunale, lo deve al sacrificio di migliaia di uomini e donne che si dichiaravano comunisti, alcuni dei quali furono vittime anche loro della repressione titina in Istria e Dalmazia, figlia anche di odi nazionalisti che sono puntualmente riesplosi nella tragedia delle guerre della ex Jugoslavia alla caduta del regime comunista.
Poteva essere un'ottima occasione di riflessione e approfondimento, da parte PDL ha prevalso una voglia di rivalsa sulla storia e di buttarla in politica, altro che memoria condivisa.
Lorenzo Paluan
Una sola vittima, il popolo italiano, una sola causa, il comunismo di Tito.
Tutto serve a far brodo per l'ossessione anticomunista dei consiglieri PDL, basta negare la realtà
L'iniziativa organizzata dalla presidenza del consiglio comunale per il "Giorno del Ricordo" di TUTTE le vittime delle foibe ha avuto momenti di eccellenza nella relazione del professor Bertucelli, nel senso comune e condiviso di un ordine del giorno che voleva portare un segno di rispetto al dramma umano dei profughi istriani ospitati all'ex campo di concentramento del campo di Fossoli.
Purtroppo il dibattito che ne è seguito è stata occasione per i consiglieri PDL per strumentalizzare la vicenda umana dei profughi istriani per fare polemica di bassa lega.
Nell'intervento del consigliere Benatti, annullata qualsiasi contestualizzazione storica, qualsiasi riferimento alle cose relazionate con equilibrio da Bertucelli, sul clima creatosi nei territori istriani e dalmati dopo 20 anni di dittatura italiana, di persecuzione delle minoranze linguistiche slave e croate, degli eccidi e delle deportazioni compiute prima e durante la guerra, dei 350.000 uomini donne e bambini, civili, uccisi dalle forze armate italiane, prima da sole poi inquadrate nei reparti tedeschi.
Un'elegia dell'anticomunismo dimenticando che se oggi Benatti può dire le sue banalità antistoriche e strumentali in consiglio comunale, lo deve al sacrificio di migliaia di uomini e donne che si dichiaravano comunisti, alcuni dei quali furono vittime anche loro della repressione titina in Istria e Dalmazia, figlia anche di odi nazionalisti che sono puntualmente riesplosi nella tragedia delle guerre della ex Jugoslavia alla caduta del regime comunista.
Poteva essere un'ottima occasione di riflessione e approfondimento, da parte PDL ha prevalso una voglia di rivalsa sulla storia e di buttarla in politica, altro che memoria condivisa.
Lorenzo Paluan
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9 commenti:
Caro Paluan la memoria corta e di chi, per partito preso, trova mille giustificazione per un comportamento solo perchè non ha il coraggio di mettere nella stessa frase, comunismo,dittatura e morti...
Ieri sera è stata doverosamente ricordata una storia tragica che si colloca nella secolare e complessa vicenda del confine orientale (come ha spiegato bene il prof. Bertucelli). Nel dopoguerra, fra i tanti problemi della ricostruzione e della guerra fredda, si realizzò, nell’indifferenza generale, il dramma dell’esodo italiano da quei territori. Secondo stime ufficiali, circa 250.000 persone, ossia la quasi totalità degli istriani di nazionalità italiana, abbandonano quelle terre, per il timore di perdere la propria identità italiana, per sfuggire a possibili persecuzioni da parte della neonata Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia o per la paura di finire uccisi nelle foibe, cavità carsiche nelle quali trovarono la morte secondo stime attendibili circa 5.000 persone per mano dei partigiani titini. Rimozioni e ragioni politiche hanno impedito a lungo di affrontare questa tragica vicenda, schiacciata a sinistra dalla difesa ideologica del regime comunista jugoslavo, e a destra dalla rimozione dei crimini compiuti in quei territori precedentemente dai fascisti contro le comunità non italiane. È noto inoltre che la vicenda è stata rimossa per i convergenti interessi nel dopoguerra di governo e opposizione e per mantenere buoni rapporti con la Jugoslavia. Ma quella storia tocca direttamente la comunità carpigiana, perché tra le varie destinazioni dell’esodo ci fu, dal 1954, il Villaggio San Marco allestito nell’ex Campo di concentramento di Fossoli. Alle sofferenze dell’esodo si aggiunsero le incomprensioni con la popolazione locale e gli istriani faticarono non poco ad integrarsi nella comunità carpigiana, che nutriva inizialmente una profonda diffidenza nei loro confronti. Anche questo è un aspetto a lungo taciuto che va riconosciuto. L’accoglienza nei confronti dei profughi è stata inizialmente fredda se non ostile da parte di alcuni, anche se poi, col tempo, il boom economico, il trasferimento dal Villaggio San Marco alla zona urbana, l’integrazione è stata finalmente possibile. È doveroso nei confronti degli istriani ricordare quella tragica vicenda, che ha segnato una comunità che a lungo si è sentita profuga in Patria e in permanente esilio. La vicenda dell’esodo, così come quella delle foibe e più in generale delle violenze perpetrate in quelle terre, non può trovare nessuna giustificazione e io penso che il racconto di quel dolore vada rinnovato come monito, per promuovere anche oggi la cultura dell’accoglienza e della convivenza pacifica tra popoli e culture e respingere ogni forma di violenza e di odio etnico, razziale, religioso, ideologico verso coloro che sono ritenuti, a torto, diversi. A me pare che sia stata un’iniziativa importante che ci ha consentito di ricordare il dolore e la tragedia di una comunità, e al tempo stesso di ricostruire la complessità di quel groviglio di violenze ‘etniche’, sociali ed ideologiche che c’è stato in quell’area nel corso del Novecento.
Per Rostovi: avete la memoria così corta che non vi ricordate neanche di quello che è stato detto durante la discussione dell'odg sul crollo del muro di Berlino, quindi la tua frase è sempliecemente un insulto gratuito, dato che di dittatura comunismo e morti ne abbiamo parlato ampiamente (poi quando vogliamo cominciare a parlare di dittature e morti sostenute dai regimi cosiddetti democratici, siamo pronti anche per quello).
Quello che ho voluto segnalare con questo comunicato è che il senso dell'odg votato ieri sera non era fare la pagella dei buoni e cattivi o il conto se ne hanno ammazzati di più gli italiani o gli sloveni o i croati, ma esprimere la solidarietà e il riconoscimento per una tragedia umana e per avviare un percorso di reciproco riconoscimento fra comunità che storia e ideologia avevano diviso.
Questioni che non possono essere ridotte ad una polemica politica buona per la propaganda.
Su questo, secondo me, siete caduti (o per meglio dire, scaduti).
Paluan, a parte il fatto che non ho offeso nessuno, ho solo rispedito al mittente la frase sulla memoria corta.
Nessuno si mette a fare la pagella dei buoni e dei cattivi,ma se si vuole veramente riconoscere una tragedia allora è il caso di cominciare a chiamare le cose con il loro nome, nessuno di noi direbbe mai che la tragedia degli ebrei è stata causata da dittature nazionaliste e stop, sappiamo e non abbiamo nessun problema a chiamare con il loro nome quelle dittature sanguinarie e cioè Nazismo e Fascismo.
Per quel che riguarda la discussione sulla caduta del muro di berlino, ricordo bene di aver anche sentito dire che il comunismo non è mai esistito, o meglio che quei regimi non erano "vero comunismo".
Guarda, mischiare la Shoah con le vicende storiche di un confine territoriale e delle comunità che nei secoli vi sono vissute a cavallo, per me è segno che è meglio che non andiamo oltre con i ragionamenti storici e pseudo storici, che evidentemente in un forum come questo possono essere portati avanti solo a colpi di slogan.
Il senso del mio comunicato era ed è che ieri sera, davanti ad un momento di approfondimento storico, equilibrato e in grado di chiamare con il loro nome tutte le vicende che si sono susseguite sul quel territorio, seguite a considerazioni più o meno condivisibili ma comunque rispettabili dell’esperienze dirette dell’epoca e delle valutazioni di alcuni consiglieri, i consiglieri del PDL e Benatti in particolare hanno approfittato per fare un paio di sparate propagandistiche che servivano alla loro polemica anticomunista, tutta in chiave partitica e piegata sul presente, pescando dalla storia come se fosse un buffet, quel che serve a sostegno delle proprie tesi.
Io questo ho detto e di questo mi prendo la responsabilità.
Che tu non condivida mi pare ovvio. Chi legge, chi ha ascoltato il dibattito di ieri e quelli precedenti si farà una sua idea.
Io mi fermo qui.
Cari consiglieri capisco le vostre ragioni, ma da semplice cittadino mi faccio una domanda; ma la discussione in consiglio non è sufficiente?
Non voglio essere polemico, ma non capisco perchè dobbiate riempire blog di discussioni che avete già fatto in consiglio. O non avete il tempo di potervi esprimere, e questo mi rammarica e dispiace, o non capisco.
Scusandomi per aver abusato del vostro tempo, vi saluto
Valerio
per Lorenzo... si hai ragione lasciamo perdere che è meglio...
Per Valerio..è vero che abbiamo la possibilità di discutere in consiglio, però avendo a disposizione un solo intervento per argomento, dopo aver sentito i colleghi parlare rimangono spesso tante cose da dire.
Non è mai stato troppo difficile polemizzare con la periodica strumentalizzazione fascista e degli anticomunisti di varia estrazione, o contro il solito Violante di turno che a costoro ha fatto spudorate concessioni, e anche contro il "giustificazionismo" quasi negazionista di parte dei nostalgici di ogni forma di stalinismo. Ma veniamo alle foibe: a mio parere bisogna distinguere due fasi:1) nel 1943, la violenza fu spontanea, come vendetta dei contadini slavi per le tante violenze fasciste (che usavano nel 1921-1922 proprio le foibe per gettare le vittime). Gli slavi avevano rappresentato una percentuale molto alta tra i condannati a morte dai tribunali speciali, ed erano stati trattati ferocemente durante il ventennio, ma ancor più dopo la spartizione della Jugoslavia tra Italia e Germania nazista. Tutte le testimonianze dirette, oltre a ricondurre quegli episodi a una rivolta contadina, con tutti gli strascichi di "giustizie fatte da sé" ai danni di quelli che per vent'anni erano stati i padroni, e cioè non solo i fascisti ma gli italiani in genere, parlano di poche centinaia di vittime. 2) nel 1945, invece, c´è stata una politica feroce di eliminazione di avversari. Si è parlato dello scontro tra Stalin e Tito sul nazionalismo. Ma cosa facevano le ben organizzate truppe di Tito? ci sembra che vada ricordato un aspetto di solito ignorato: nel corso della guerra, "la sinistra parte internazionalista e arriva nazionale". La formulazione, abbastanza approssimativa, ma sostanzialmente corretta è che la fine dell'internazionalismo è di molto precedente alla guerra.La questione fondamentale è che i comunisti jugoslavi avevano assimilato a fondo il recupero del nazionalismo che stava dietro al "socialismo in un solo paese" di Stalin e a tutta l'impostazione dei fronti popolari. Uno degli scontri tra comunisti jugoslavi e una parte di quelli italiani di Trieste e dell'Istria, fu legato all'uso della bandiera rossa, vietata dagli jugoslavi al pari di quella italiana durante l'occupazione di Trieste. La guerra iniziata come antifascista divenne antitedesca e antitaliana, analogamente a quanto avveniva su scala maggiore con la "grande guerra patriottica", come in URSS fu chiamata e vissuta la resistenza.Al tempo stesso, l'analoga impostazione "nazionale" data al CLN italiano, con una piena corresponsabilità del PCI, creava tensioni nelle zone di contatto, che in qualche caso si tradussero anche in scontri armati o peggio in esecuzioni a freddo. La contraddizione finì per lacerare (con strascichi che rimasero a lungo) lo stesso partito comunista italiano, diviso in quella zona tra un PC giuliano, che pubblicava "Il lavoratore", apertamente a favore dell'annessione alla Jugoslavia, e un Fronte Comunista Italiano, divenuto successivamente PCI della Venezia Giulia ad opera di "dissidenti" contrari alla soluzione annessionistica, non in chiave nazionalistica italiana ma contrapponendo piuttosto la bandiera rossa a quella jugoslava. Le tensioni di quegli anni facilitarono poi l'impegno duramente "antititoista" (ma di fatto antijugoslavo) del PC del Territorio Libero di Trieste guidato da Vittorio Vidali. (segue)
Nella vicenda di quel periodo si intrecciarono dunque l´espansionismo jugoslavo e le comprensibili vendette che accompagnano ogni crisi politica e sociale compresa, (e su cui periodicamente speculano i giornali borghesi, rispolverando il "triangolo della morte" o la "volante rossa").. Alcuni commentatori hanno sottolineato il carattere prevalentemente "non etnico" delle violenze, ricordando che ad esempio in Slovenia i comunisti fucilarono circa 12.000 compatrioti collaborazionisti (o presunti tali, cioè anticomunisti o anche solo non comunisti), mentre in tutta l'area che va da Zara a Gorizia le vittime italiane secondo gli alleati furono 4.000 o al massimo 6.000.Ridimensionare rispetto alle cifre esagerate fornite dalla destra non vuol dire giustificare, come spesso ciarlano. Ma distinguere tra quelli che sono atti inevitabili in un conflitto ancora aperto e la repressione successiva a freddo è importantissimo. Per giunta l´atto di fucilare, che in un momento dato della lotta può essere una dolorosa necessità, diventa in assoluto inaccettabile quando è rivolto a vinti ormai inermi, e per motivi "ideologici".Non è possibile dunque alcuna giustificazione a quel che avvenne a Trieste nel 1945, perché veniva fatto quando non c´era più incertezza sull´esito della guerra antifascista: era semplicemente la logica stalinista di eliminare fisicamente e preventivamente i possibili oppositori all´annessione.Per giudicare non ci serve di contare i morti dell'una e dell'altra parte (anche se è necessario farlo per smentire certe speculazioni), ma di vedere come l'ansia di cambiamento di quegli anni sia stata distorta, provocando un comprensibile rigetto in chi invece degli ideali emancipatori e internazionalisti che avevano caratterizzato fin dal suo sorgere il movimento operaio si trovava di fronte una ripresa di antichi nazionalismi.
Tra l´altro non solo i fascisti, ma anche la maggior parte di quelli che scrivono sulla questione, ignorano tutto della crisi che il complesso rapporto del PCI con la Jugoslavia innescò negli anni successivi, provocando lacerazioni, espulsioni, partecipazione di ottimi militanti perfino ad attività terroristiche contro il PCJ e Tito in particolare, in nome della fedeltà incondizionata a Mosca. Nessuno ricorda l'episodio triste e vergognoso dell'appoggio offerto dal PCI alla mobilitazione nazionalista del governo di centrodestra di Pella contro la Jugoslavia. Quindi parliamo e giudichiamo pure le foibe senza reticenze, ma non le utilizziamo per fondare su di esse la metafisica dell'anticomunismo perchè potreste venire confutati in qualsiasi momento.
Leo Bronstini, marxista e rivoluzionario
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