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venerdì 23 aprile 2010

Contro il disegno di privatizzazione forzata dell'acqua pubblica, definita dalla recente legge Ronchi, il Partito democratico non sosterrà la campagna referendaria. «Pur guardando con simpatia a tutti quei movimenti che si battono contro il rischio di monopoli privati» ha detto il segretario Pierluigi Bersani «riteniamo che il referendum non sia la strada giusta». Il Pd, quindi, seguirà un'altra via. E cioè formulerà, nel più breve tempo possibile, una proposta di legge coinvolgendo gli amministratori locali e i cittadini. Si parte subito. Il primo appuntamento è per oggi a Torino. L'obiettivo complessivo è quello di raccogliere, sulla petizione, un milione di firme.


Referendum
Con la decisione del Pd, dunque, il fronte che si batte contro la privatizzazione dell'acqua presenta tre diversi schieramenti. Oltre al Partito democratico, in campo ci sono il Forum di movimenti per l'acqua pubblica e l'Italia dei Valori. Entrambi hanno scelto la strada del referendum per modificare la legge Ronchi. Il Forum, che raccoglie una sterminata serie di sigle della società civile, ha già depositato in Cassazione tre quesiti e si appresta a partire con la raccolta delle firme il 24-25 aprile. Così come l'Italia dei Valori. Il partito di Di Pietro si è spinto, però, oltre. Presentando delle proposte anche per il legittimo impedimento e per la legge che reintroduce il nucleare per uso civile in Italia. «Il referendum – ha spiegato Bersani – è una battaglia fondata ma lo strumento referendario da solo non basta». Perché, sempre secondo il leader del Pd, è inadeguato «sia per la scarsa efficacia dimostrata negli ultimi anni (24 referendum persi su 24 dal 1995 in poi), sia perché abroga leggi senza definirne di nuove e di più efficaci».

Proposta
Da qui la proposta di una nuova norma. Che è anche il frutto di un compromesso tra le tante anime locali del partito. Da nord a sud le differenze in materia di gestione dei servizi idrici sono notevoli. La scelta di Bersani, dunque, è anche il frutto di una sintesi non facile. Per ora, comunque, la cornice del progetto è costituita da sei linee guida.

La prima riguarda la costituzione di una forte Autorità indipendente, compartecipata da Stato e regioni, in grado di regolare la gestione. Questa Authority, pensata sul modello dell'Aifa (farmaci), dovrebbe definire gli standard di servizio, monitorare i risultati, applicare sanzioni in caso di mancato investimento, incentivare qualità, efficienza e risparmio. La seconda, invece, prevede un forte ruolo delle regioni e degli enti locali nelle scelte di affidamento del servizio idrico. Da realizzare, e siamo al terzo paletto, con una gestione industriale del servizio «che consenta economie di scala, assicuri qualità omogenea e garantisca sicurezza degli approvvigionamenti».

Per fare questo, quarta linea guida, bisogna dare un quadro normativo chiaro «affidando alle regioni il compito di organizzare il servizio idrico integrato» sulla base di ambiti territoriali ottimali, definiti secondo diversi parametri. Le tariffe poi, quinto obiettivo, modulate come corrispettivo del servizio, «devono prevedere una tariffa sociale per dare agevolazioni a determinate fasce di reddito e a nuclei familiari numerosi, e una tariffa che incentivi il risparmio idrico».

Vincoli
Infine, ultima linea guida, devono essere presenti dei «meccanismi che vincolino alla realizzazione degli investimenti necessari per migliorare il servizio, stimati in almeno 60 miliardi di euro, con l'impegno aggiuntivo per garantire lo stesso livello di servizio idrico in ogni area del paese». Un punto fondamentale, quest'ultimo. Oggi la tariffa è commisurata al livello degli investimenti. Soldi che spesso, però, rimangono sulla carta (circa la metà). Con il risultato che in molte zone del Paese si paga una tariffa elevata a fronte di pochi interventi sulla rete.

Roberto Rossi su L'Unità

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